Corrado Pagliani
DI NOSTRADAMUS E DI UNA SUA POCO NOTA ISCRIZIONE LIMINARE TORINESE
Parte I, Rassegna Mensile, N.1, Torino 1934
T O R I N O
TIPOGRAFIA CARLO ACCAME
Corso Regina Margherita, 46 bis
Cascina
Morozzo: Via Michele Lessona, numero civico 68.
Uno stradino
perpendicolare all’asse della via s’inoltra fra gli sterpi, oltrepassa un alto
cancello, costeggia orti e frutteti ed introduce nel rustico cortile prospicente
il casamento. Due porte adducono alle abitazioni: in fondo all’androne della più
piccola, posta a sinistra di chi giunge, in alto, in un angolo buio, accanto ad
una angusta scaletta interna, è murata una
lastra di marmo che reca incisa la seguente dicitura:
l556
NOSTRE DAMVS ALOGE ICI
ON IL HA LE PARADIS LENFER
LE
PVRGATOIRE IE MA PELLE
LA
VICTOIRE QVI MHONORE
AVRALA
GLOIRE QVI ME
MEPRISE OVRA LA
RVINE HNTIERE
eccone la traduzione:
Nostradamus alloggia qui
dov’è il Paradiso,
l’Inferno, il Purgatorio
Io mi chiamo la Vittoria
chi mi onora avrà la
gloria
chi mi disprezza avrà la
completa rovina.
La curiosa iscrizione
liminare, compilata in quel certo stile apocalittico e sibillino, caratteristico
agli scritti profetici del famoso medico veggente, si riferisce indubbiamente a
lui ed è, probabilmente, sua stessa opera. Nostradamus, com’è
noto, ne compose parecchie in varie occasioni: quelle fino ad ora note
sono redatte in latino, ma nel caso nostro, l’uso del francese può essere
giustificato dal fatto che tale lingua era a quei tempi (1556) imposta a Torino
ed al Piemonte, dalla dura prepotenza degli invasori.
Ignorata a tutt’oggi,
anche dai più recenti ed accurati biografi, l’iscrizione citata aggiunge alla
movimentata ed incerta cronologia Nostradamusiana, una data precisa ed una
sicura indicazione di grande importanza ed attende dalla scienza e dall’acume
dello storico degna ed esauriente illustrazione.
Secondo quanto fino ad
ora mi risulta, il Courrier de Turin del 26 dicembre 1807
ne dà per la prima volta notizia: una
breve comunicazione di certo H. Carrera la descrive minutamente, riferisce le
misure della lapide, 20 pollici = 54 centimetri di larghezza, per 15 pollici =
40 centimetri di altezza, ed a proposito della sua collocazione, afferma ch’essa
era « posta al disopra di una porta al piano terreno ». non dice però se
all’interno o all’esterno dell’edificio; ora, nel muro al quale essa è
presentemente fissata era aperta una porta simile a quella che s’incontra subito
a destra, entrando nel vestibolo, porta che fu chiusa di recente, ma le
dimensioni attuali della lastra marmorea, da me rilevate in centimetri 50 per 35
possono far ritenere che dal 1807 ad oggi essa
sia stata rimossa, squadrata, e forse collocata in luogo diverso dal primitivo.
Del resto, il tono della scritta, diretto ad ispirar timore e riverenza ed a
sollevare nel contempo una inevitabile curiosità, e l’ubicazione del Morozzo,
sito ancor oggi in: località periferica e poco frequentata, avvalorano la
supposizione che la lapide in origine e per la sua stessa funzione indicatrice
fosse murata all’esterno dell’attuale costruzione o di altra anteriore demolita,
o distrutta durante i fatti d’armi svoltisi a quei tempi (1556) e dopo attorno
alla città, o comunque collocata in modo da esser facilmente veduta e letta.
Ancora al Courrier de
Turim il signor H. Carrera trasmette una lettera a lui inviata da un tale H.
B., a preteso chiarimento della precedente informazione, ed il giornale la
inserisce nel numero del 27 gennaio 1808; essa dice, fra, l’altro: « Quantunque
la storia di Provenza non menzioni il soggiorno a Torino del famoso medico,
abbiamo nondimeno parecchi aneddoti che ci provano ch’egli vi si è trattenuto
per qualche tempo, che fu ben accolto alla Corte dei Savoia, e che passò qualche
giorno alla casa di campagna oggi Morozzo, appartenente in altri tempi alla
Principessa Vittoria di Savoia. Son d’avviso che il nome della detta campagna
(Vittoria), la, posizione e la distribuzione delle terre sotto la denominazione
(di regioni) del Paradiso, Purgatorio ed Inferno, han dato occasione a
Nostradamus di comporre l’iscrizione ».
Ho cercato invano
traccia di una Principessa Vittoria di Savoia, contemporanea od anteriore alla
data dell’iscrizione (1556) e degli aneddoti a cui accenna il signor H. B.:
questi ultimi, in ogni modo, appartengono più verosimilmente alla leggenda che
alla storia perché il fiero Duca Emanuele
Filiberto, posto in quell’anno (1556) dal Re di Spagna al Governo dei Paesi
Bassi, non si preoccupava certo di tener corte nel povero Piemonte invaso e
conteso. La proposta spiegazione pone un piccolo ma interessante problema di
toponomastica locale: se « la Vittoria » è stata in origine la vera
denominazione dell’attuale Morozzo, il giuoco di equivoco fra il nome della
Villa (la Vittoria) ed il suo significato astratto, giuoco simile ad altri di
cui si vale frequentemente Nostradamus nell’esposizione delle sue profezie,
potrebbe costituire, nei riguardi dell’iscrizione, un nuovo elemento non
necessario, in favore della sua autenticità, autenticità
che non sarebbe certo menomata qualora fosse stata invece l’iscrizione
(io mi chiamo la Vittoria...) a dare il nome alla località.
In difetto di notizie e
di documenti, sul soggiorno torinese di Nostradamus non si può dire di più di
quanto laconicamente dice l’iscrizione. La data, 1556, unico spiraglio aperto
nel mondo di allora, ci mostra il più disgraziato periodo di storia locale.
1556. Anno di angoscia
per i Torinesi: la tregua di Vaucelles,
concordata fra Spagnoli e Francesi dopo la sconfitta subita sotto Santhià dalle
truppe del Duca d’Alva, e la resa di Volpiano, conferma e consolida il dominio
francese che da venti anni grava sul Piemonte e su Torino.
La Città, mutilata
all’atto dell’occupazione, dei quattro fiorenti sobborghi sorti esternamente
alle sue porte, uno dei quali, chiamato Colleasca, sorgeva nella località
dell’attuale Campidoglio, a breve distanza dal Morozzo, è ridotta a poco più di
un grosso borgo rozzo e turbolento, a mala pena contenuto nella cintura
fortificata costruita attorno al perimetro romano. Travolta dalla fatal
decadenza che disgrega le istituzioni civili e culturali in ogni terra soggetta
a straniero dominio, l’Università, in altri tempi celebre nel mondo degli studi,
languisce disertata da professori e studenti.
Torino, insensibile alle
adulazioni, incurante dei privilegi che il Sovrano francese le accorda, vive di
memorie e di speranze, e focalizza il suo amore, la sua volontà e la sua tenacia
verso Emanuele Filiberto Testa di Ferro, il giovane Principe audace e generoso
che in terra d’esilio lotta instancabile per riconquistare alla Dinastia lo
Stato perduto, e ridare al suo popolo pace e prosperità.
Il contado circostante
la, città, malgrado le incursioni ed i saccheggi operati dalle contendenti
soldataglie franco-spagnuole, ed il frequente flagellar di carestie e
pestilenze, è soggiorno estivo assai ricercato dai ricchi, nobili e borghesi,
attratti dalla vaghezza del sito, ed è costellato di comode costruzioni civili
abbellite da giardini e da parchi.
Una di esse, la villa la
Vittoria, l’attuale Cascina Morozzo, ospita nell’anno di grazia 1556 il dottor
Michele Nostradamus, già, celebre come medico, e più ancora come astrologo
profetizzante...
Costruita come le
antiche ville vicine (Giubilino, Milanina) colla facciata a sud, su di un rialzo
di terreno dovuto al caratteristico terrazzamento geologico verso il torrente
Dora, e strapiombante per alcuni metri sul canale della Pellerina, in una zona
allora rustica ed accidentata, densa di boschi ed abbondante di cacciagione, era
riunita alla città, distante circa tre chilometri, da strade solitarie, e
certamente servita da qualche via vicinale della Strada antica di Collegno, e
forse dalla strada della Pellerina: il magnifico sfondo della catena alpina
dominata dalla piramide del Viso, accentuava l’austera, severità e la multiforme
bellezza del paesaggio e rendeva più suggestiva la calma solitaria del luogo.
Coi tempi, variarono
pure le fortune e le attribuzioni del Morozzo.
Al principio dell’800,
nella villa di riposo cinquecentesca, trasformata in fattoria, il proprietario
Sig. Colla aveva impiantato una bigattiera per l’allevamento dei
bachi da seta: essa costituiva un vanto ed una curiosità locali, ed il
Paroletti ne consiglia la visita al forestiero desideroso di istruirsi.
Ora, il graduale
estendersi della Città e l’incessante sorgere di vasti opifici e di alte e
modernissime case d’abitazione, hanno cambiato fisionomia e carattere alla
regione.
Il parco ed il giardino
della cascina Morozzo già Villa la Vittoria, si son rinchiusi in un alto muro e
sono diventati orti e frutteti, e l’edificio, dimesso e disadorno come una
comune casa di campagna, è frazionato in alloggi, affittati per lo più ad operai
ed artigiani: a quanto mi è stato detto, vi sono all’interno alcune camere
ornate di stucchi ancora ben conservati, una sala, colla volta frescata, ed in
cantina era scavato un pozzo colmato di recente: sopra di esso un’apertura
quadrata permetteva di attingere acqua dalla stanza a terreno retrostante la
scala.
L’accesso abituale allo
stabile è posto verso via Michele Lessona, ma sulla strada della Pellerina,
costeggiante il Canale omonimo, un’erma di pietra, simile a quelle indicatrici
di strade collinari, segna colla scritta: Villa la Vittoria detta il Morozzo,
il vecchio ingresso che, per mezzo di un ponticello gettato sul canale, ed
una rampa in origine carrozzabile e fiancheggiata da alberi, adduce al rustico
mediante una porta carraia: vicino ad essa, verso la strada, una dicitura molto
sbiadita, indica Vecchia strada. Dal portone si esce in un primo cortile
avente carattere e destinazione eminentemente rurali: da esso due cancelli
introducono in un altro cortile fronteggiante gl’ingressi alle abitazioni.
Nel complesso umile,
privo di caratteristiche salienti, cerchiamo invano qualcosa di visibile che ci
richiami al tempo ed al personaggio che c’interessano.
Solo una cappelletta, distante dal caseggiato una diecina di metri, attesta una remota agiatezza: il pio luogo sfregiato, deturpato, ridotto a magazzeno per frutta ed ortaglia, ha sofferto più d’ogni altro l’inclemenza del tempo e l’incuria degli uomini, ma in esso, abbiamo trovato la traccia del Nostradamus scienziato e credente, mago e profeta, immortalato dalla tradizione, traccia spirituale sentita, nell’atmosfera infinitamente triste dello squallido tempietto sconsacrato, come il sottile aleggiare di una mistica presenza.
______
Riproduzione di un documento ritrovato presso la Biblioteca Civica di Torino a cura di Gabriele Fortino
Appendice
di Gabriele Fortino
Riportiamo qui di seguito la sequenza numerica che si ottiene applicando il metodo crittografico di Givierge - Frontenac alla Lapide "Domus Morozzo":
N O S T R E D A M U S A L O G E I C I 74 80 108 112 95 18 16 1 69 116 109 2 58 81 38 19 44 14 45 O N I L H A L E P A R A D I S L E N F E R 82 75 46 59 41 3 60 20 89 4 96 5 17 47 110 61 21 76 37 22 97 L E P U R G A T O I R E I E M A P E L L E 62 23 90 117 98 39 6 113 83 48 99 24 49 25 70 7 91 26 63 64 27 L A V I C T O R I E Q U I M H O N O R E 65 8 121 50 15 114 84 100 51 28 93 118 52 71 42 85 77 86 101 29 A V R A L A G L O R I E Q U I M E 9 122 102 10 66 11 40 67 87 103 53 30 94 119 54 72 31 M E P R I S E O V R A L A 73 32 92 104 55 111 33 88 123 105 12 68 13 R U I N E H N T I E R E 106 120 56 78 34 43 79 115 57 35 107 36
A 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
B
C 14 15
D 16 17
E 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34
35 36
F 37
G 38 39 40
H 41 42 43
I 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57
J
K
L 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68
M 69 70 71 72 73
N 74 75 76 77 78 79
O 80 81 82 83 84 85 86 87 88
P 89 90 91 92
Q 93 94
R 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107
S 108 109 110 111
T 112 113 114 115
U 116 117 118 119 120
V 121 122 123
Z
Y
X
W