Ricreazioni Ermetiche
(traduzione dal francese di P. Quaranta)
(introduzione di D. Ferrero)
Dobbiamo al gentile contributo di Paolo Quaranta, che ringraziamo sentitamente, la presente traduzione italiana integrale ed inedita delle Ricreazioni Ermetiche (Récréations Hermétiques). Nel manoscritto originale questo testo è seguito immediatamente dai 150 Scolii (Scholies) - da noi già tradotti in una pagina precedente - che ne riassumono ed integrano il contenuto.
Per un'introduzione generale sulla datazione ed il contenuto delle due opere rimandiamo il lettore al nostro commento che precede la traduzione degli Scolii.
Come abbiamo già rilevato, entrambi i testi espongono, nel loro ordine corretto e con dovizia di particolari, le fasi della Grande Opera per Via Umida: per seguire più agevolmente il processo descritto dall'anonimo autore lo abbiamo riassunto in uno Schema della Grande Opera per Via Umida che consigliamo di tenere presente durante la lettura.
E' interessante notare, nelle prime frasi del testo, il riferimento polemico dell'autore alla dottrina delle affinità chimiche che, a partire dalla prima proposta di Étienne-François Geoffroy nel 1718, dette luogo, per tutto il XVIII secolo, alla compilazione da parte dei chimici di un gran numero di tavole di affinità, tra cui quella assai dettagliata di Bergmann. In tutte queste tavole, le sostanze chimiche conosciute venivano ordinate in colonne, in testa alle quali si trovava la sostanza principale e, discendendo, le altre sostanze, disposte secondo un grado di affinità decrescente rispetto alla prima: le tavole permettevano così di prevedere in modo efficace il risultato di una reazione di sostituzione. Con le scoperte ottocentesche della termochimica e dell'elettrochimica le tavole di affinità saranno poi progressivamente abbandonate e in parte soppiantate dalla moderna tavola periodica degli elementi e dalla tavola dei potenziali di ossidoriduzione. Il fatto che il nostro autore si scagli contro gli "uomini sistematici" che, con le leggi dell'affinità, hanno voluto gettare le basi della nuova filosofia chimica conferma la collocazione storica dell'opera in un periodo piuttosto tardo della produzione alchemica classica: tra la seconda metà del XVIII secolo e l'inizio del XIX.
La traduzione del testo segue fedelmente la versione pubblicata da Gilles Pasquier ne L'entrée du labyrinthe ou Introduction à l'Alchimie suivie des Récréations hermétiques et des Scholies (Editions Dervy, 1992), che emenda errori ed omissioni presenti nelle precedenti versioni di Husson. E' stato rispettato l'uso piuttosto bizzarro ed incostante che l'autore anonimo fa delle maiuscole e del corsivo; in nota sono state riportate le osservazioni più significative di Pasquier.
Ricreazioni Ermetiche
Le scienze subiscono come tutte le altre cose le vicissitudini del tempo, e degenerano piuttosto che acquisire accrescimento. Gli uomini sistematici, accolti da tutte le parti, hanno seminato il disordine nel vasto campo dell'immaginazione, e i fiori più bizzarri ne sono stati prodotti: questi fiori hanno ricevuto infine un tale favore da eguagliare i migliori libri, i più bei discorsi sono reputati senza valore, se non ne sono ornati. La scienza da cui tutte le altre derivano, quella della Natura, è caduta in un tale discredito, che oggi si ricopre di ridicolo tutti coloro che le si sanno dediti. Attraverso le leggi dell'affinità si pretende di risolvere tutti i problemi; gli Elementi sono o moltiplicati o annientati; e coloro che li ammettono senza restrizioni sono piazzati, insieme a quelli che ne hanno trattato, nel rango degli ignoranti, o degli uomini fuori di senno. Senza respingere le affinità, basi della nuova filosofia chimica, io le ritengo quantomeno inutili allo scopo che un vero amico della verità si propone di attingere. Intendo parlare qui della conoscenza delle cause prime sulle quali tutta la scienza si deve fondare, e che si finge di disprezzare come una certa Volpe della Favola faceva con dell'uva che non poteva prendere: per giunta queste leggi di affinità che i sapienti moderni fanno tanto valere, sebbene non conducano affatto alla sorgente della nostra mirabile fontana di vita, sono lontane da essere oggetto di nuove scoperte: ne faccio appello a tutti coloro che hanno buonafede; e che esse siano almeno riconosciute attraverso i fatti, quando non lo fossero ancora attraverso le parole. Gli elementi hanno un Centrum Centri che nessun occhio può percepire; ed essi hanno inoltre un Centrum Commune (la luce) a cui i pretesi sapienti non osano avvicinarsi, per timore di svelare la loro turpitudine. Questo calore caustico, accompagnato da luce, che viene comunemente chiamato fuoco, non è l'Elemento di questo nome, di cui i saggi hanno voluto parlare. In questa circostanza si prendono gli effetti per la causa e si va più lontano dei retori, che prendono almeno la parte per il tutto. Il fuoco è un fluido eminentemente sottile, che procede direttamente dalla luce e che viene chiamato ora Elettrico, ora Galvanico o Magnetico ecc., a seconda delle sue diverse modificazioni, o piuttosto, è la luce stessa derivata dalla sua sorgente e da cui dimora distaccata. Non è né freddo né caldo, e il calore o il freddo non sono affatto dei corpi, checché ne dica M. Azais, ma dei semplici effetti del movimento o del riposo. Solo il movimento produce il calore con tutte le sue conseguenze buone o cattive, cosa di cui ciascuno è in grado di farne l'esperienza; e il fuoco, in ragione della sua più grande sottigliezza, è anche il più adatto a ricevere l'impulsione ed a comunicarla agli altri corpi. L'Aria, l'Acqua e la Terra non sono che le conseguenze immediate e successive della formazione del fuoco. La luce distaccata dal suo centro, accumulata per perdita di movimento, e respinta da una nuova e continua emissione della sua sostanza, si è data differenti forme di cui abbiamo fatto la distinzione. Nel linguaggio comune, le più semplici di queste forme sono state chiamate Elementari. La luce, principio di vita e di movimento, può essere considerata come l'atto unico della creazione; tutto il resto non ne è che la conseguenza. E' quello che ha voluto dimostrare Ermete, quando dice nella sua Tavola di Smeraldo: “Ciò che è in basso è simile a ciò che è in alto, e ciò che è in alto è simile a ciò che è in basso, per fare per mezzo di queste due cose il miracolo di una sola cosa.” Il Tutto in tutte le cose di Basilio Valentino non è che una citazione abbreviata di questa proposizione e della verità che essa racchiude, che tutti i saggi dell'antichità hanno riconosciuto, in quanto l'Universo, significando l'unità rigirata o reinversata, ha preso da ciò la sua denominazione. Posso citare ancora a suffragio della mia asserzione, il Vangelo di san Giovanni, dove è detto: “la luce era nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno compresa”; poiché la sua applicazione morale non fa che giustificare il fatto che le è servito da base. Le sostanze gassose ed aeriformi sono di natura caotica piuttosto che Elementare, e si convertono facilmente nell'Elemento a cui si avvicinano di più. Le Meteore di tutte le specie, senza escludere gli aereoliti o pietre d'Aria, prendono da esse la loro origine, pertanto la loro forma è tutta aerea e fa vedere che esse sono sotto la dipendenza di questo Elemento; ma come non è tutto ORO quel che luccica, non tutto ciò che ha la leggerezza e l'apparenza dell'aria è aria: è il Medium da cui queste sostanze ottengono la loro forma ciò a cui appartiene questa denominazione. L'Acqua, anche quella delle piogge e della Rugiada, non è che un composto di sostanze gassose alle quali il fuoco e l'azione della luce hanno dato la forma d'acqua; ma è la forma e non la sostanza che bisogna considerare qui come Elemento, ora io intendo per forma ciò che ne fa il legame, e che fa altresì quello di tutti i corpi, anche del vetro. La Terra che coltiviamo non è tanto meno l'Elemento che le facciamo rappresentare. Essa non è di fatto che un grande ammasso di frantumi di corpi dei tre Regni nel cammino della distruzione; è veritiero dire che essa contiene qualche porzione della terra prima ed elementare, perché indipendentemente da quella che l'acqua le fornisce senza sosta, essa ne riprende da sé la forma attraverso la sua distruzione giornaliera. Così la fine di tutte le cose assomiglia al suo cominciamento e la morte diviene il principio di una nuova vita: è ciò che gli antichi hanno riconosciuto e sperimentato, e che ci hanno rappresentato sotto la forma del serpente che si morde la coda, per perpetuarne il ricordo. Dunque quando leggete qualche trattato degli antichi sullo studio della Natura, non intendete per elementi le sostanze crude, indigeste e mortifere che vi ho appena segnalato, ma ricercatene il Centrum Centri attraverso qualche procedimento ingegnoso e di vostra propria invenzione; poiché i saggi vogliono così, per impedire sia gli abusi che la profanazione di questa scienza, per mezzo della quale la società potrebbe essere sconvolta e annientata. Non abbiate dunque timore di dedicarvi allo studio della nostra scienza, e impiegate, per approfondirla e conoscerne i misteri, tutti gli sforzi del ragionamento, poiché non c'è che questo mezzo per uscire dal labirinto nel quale vi siete forse leggermente addentrati. Non aspettatevi soprattutto alcuna prova delle nostre affermazioni, perché nessuno sarà tentato di amministrarvene: intendo parlare di quella prova irrevocabile che l'esperienza procura, ma poiché altri l'hanno acquisita con i soli mezzi che vi sto dando, non disperate del successo; oso addirittura garantirvelo, se voi vi decidete a seguire i miei consigli e a non allontanarvene: poiché vi insegno la via diritta e voglio trarvi fuori dai passi perduti di cui la strada è disseminata dappertutto. “Rigirate gli elementi, dice Aristotele, e voi troverete ciò che cercate”. Questa proposizione, una delle più importanti, avendo messo gli spiriti in movimento, ciascuno si è messo alla ricerca di una materia prima per arrivare a questo scopo, pensando bene che gli Elementi isolati non avrebbero potuto condurvici, mentre un corpo che ne fosse stato tutto composto, pur essendo nel suo stato di semplicità, sarebbe stato il solo che si potesse ragionevolmente mettere in opera per cercare il punto di perfezione. A forza di cercare, alcuni l'hanno infine incontrato; ma, non trovando nella Natura niente in grado di dissolverlo, malgrado la sua semplicità, e non potendo estrarne gli elementi per nessun altro mezzo, decisero di risalire verso la loro sorgente comune, e avendovi attinto, essi giunsero infine felicemente a termine del loro disegno. Siate dunque assicurati che senza l'acqua ignea composta della pura luce del Sole e della luna, vi sarà impossibile vincere i numerosi ostacoli che si moltiplicheranno ancora a vostro riguardo, allorché voi tenterete il passaggio di questo famoso Stretto che conduce al mare dei saggi; questa acqua che qualcuno chiama con ragione spirito universale, e che l'inglese Dikinson ha sufficientemente fatto conoscere, è di una così grande virtù e penetrazione, che tutti i corpi che ne sono toccati ritornano facilmente al loro primo essere. Ho già fatto conoscere che non era né l'acqua di pioggia né di Rugiada che conveniva a questa operazione, aggiungerò qui che non è neanche l'acqua di una specie di fungo chiamata comunemente Flos Coeli o Fiore del Cielo e che si prende molto impropriamente per il Nostoch degli antichi, ma un'acqua ammirevole tratta per artificio dai raggi del sole e della luna. Dirò ancora che i sali e gli altri magneti che si impiegano per attirare l'umidità dall'aria, non sono buoni a niente in questa circostanza, e che non c'è che il solo fuoco di Natura di cui di ci si possa qui servire utilmente. Questo fuoco rinchiuso al centro di tutti i corpi ha bisogno di un certo movimento per acquisire questa proprietà attrattiva e universale che vi è tanto necessaria, e non c'è nel mondo che un solo corpo dove esso si trova con questa condizione, ma esso è cosi comune che lo si incontra ovunque l'uomo può andare; è per questo che credo che non vi sarà difficile incontrarlo. Bruno de Lansac, autore del commentario sull'opera che ha per titolo La luce uscente dalle tenebre, [1] dice sapientemente che il fuoco vive d'aria e che è nei luoghi dove l'aria abbonda di più che bisogna cercare lo Zolfo dei saggi; poiché egli chiama quest'acqua indifferentemente zolfo o mercurio, in quanto essa contiene l'uno e l'altro e gode delle loro proprietà. Ciononostante non è proprio alla lettera che bisogna intendere queste parole. Io raccomando soltanto di seguire attentamente questo autore allorché passando in rivista i Regni della Natura fa una dimostrazione precisa dell'impiego e dell'utilità di questo elemento per il sostentamento di ciascuno di essi. Quel capitolo ben meditato sarà di gran soccorso agli amanti della scienza, e non potrei mai incoraggiarli abbastanza a farne l'oggetto di uno studio particolare. Ho detto che la luce era la sorgente comune, non solo degli elementi, ma anche di tutto ciò che esiste, e che è ad essa, come al suo principio, che tutto si deve rapportare. Il Sole e le Stelle fisse che ce la inviano con tanta profusione ne sono come i generatori; ma la Luna collocata intermediamente, temperandola con la sua umidità, le comunica una virtù generativa per mezzo della quale tutto quaggiù si rigenera. Oggi tutti sanno che la luce che la luna ci invia, non è che un'impronta di quella del Sole, alla quale viene a mescolarsi quella degli altri astri. La Luna è conseguentemente il ricettacolo o focolaio comune di cui tutti i filosofi hanno inteso parlare: essa è la sorgente della loro acqua viva. Se dunque volete ridurre in acqua i raggi del Sole, scegliete il momento in cui la luna ce li trasmette con abbondanza, ovvero quando è piena o si avvicina al suo pieno: avrete per questo mezzo l'acqua ignea dei raggi del Sole e della Luna nella sua più grande forza. Ma ci sono ancora certe disposizioni indispensabili da assolvere, senza le quali non farete che un'acqua chiara ed inutile. C'è solo un tempo adatto a fare questa raccolta di spiriti astrali. E' quello in cui la Natura si rigenera; poiché in quell'epoca l'atmosfera è tutta piena di spirito universale. Gli alberi e le Piante che rinverdiscono, e gli Animali che si abbandonano al pressante bisogno della generazione, ci fanno particolarmente conoscere la sua influenza benigna. La primavera e l'autunno sono conseguentemente le stagioni che dovete scegliere per questo lavoro; ma la primavera soprattutto è preferibile. L'estate, a causa dei calori eccessivi che dilatano e cacciano questo spirito, e l'inverno, a causa del freddo che lo trattiene e gli impedisce di esalare, sono fuori dall'opera. Nel mezzogiorno della Francia il lavoro può essere cominciato il mese di marzo e ripreso a settembre, ma a Parigi e nel resto del reame, è al più presto soltanto in aprile che lo si può cominciare e il secondo raccolto è così scarso che sarebbe una perdita di tempo occuparsene in autunno. Ora bisogna sapere che l'influenza astrale si fa sentire preferibilmente verso Nord; che è verso Nord che si rivolge costantemente l'ago magnetizzato, e che è sempre verso Nord che i fluidi Elettrico, Galvanico e Magnetico conducono tutti i loro sforzi, è dunque ugualmente verso questa regione che rivolgerete il vostro apparecchio, in quanto l'esperienza ha provato che da qualunque altro lato non troverete affatto questo spirito. Bisogna anche che il cielo sia puro e che non ci sia alcun vento, oltre alla freschezza agitata della notte, poiché in caso contrario non si otterrà che uno spirito molto debole e incapace d'azione. Si può cominciare il lavoro non appena il sole è tramontato, e continuarlo tutta la notte; ma bisogna terminarlo quando il sole si leva, perché la sua luce disperde lo spirito, e non si raccoglie più che un flegma inutile e nocivo. I Filosofi hanno mantenuto finora queste cose molto segrete; non ne hanno parlato che molto oscuramente, e sempre sotto il velo dell'allegoria. D'Espagnet, il Cosmopolita e qualche altro hanno fatto delle descrizioni ingegnose della stagione di primavera. Nicolas Flamel, per indicare la regione del Nord, ha finto un viaggio a San Giacomo di Compostela, da dove è tornato con un medico ebreo convertito che, dopo avergli insegnato le più grandi particolarità dell'opera, morì a Orléans dove lo fece seppellire a Santa Croce. Si vede in cielo la Via Lattea che scorre da mezzogiorno verso il Nord dove forma due branche la cui direzione è variabile in ragione del movimento della terra, e di cui la Bussola segue la variazione. Questa via lattea è chiamata volgarmente il Cammino di San Giacomo, perché i pellegrini la indicano così, ed essa serve loro da guida durante la Notte per il loro grande viaggio; essa è anche la guida del filosofo Ermetico che la riconosce nel mezzogiorno dove essa prende la sua sorgente, e la segue verso il Nord dove è la sua Foce. Il medico ebreo convertito è il Mercurio che egli trova sulla sua strada e che, come si sa, rivela tutti i segreti dell'Arte, quando se ne è possessori. Flamel lo rappresenta come medico, perché esso purga i metalli dalla loro lebbra ed è veramente una medicina. Ne fa un ebreo convertito, perché la Luce prende la sua origine in Oriente e perché ne fa un giusto impiego. Infine lo fa morire ad Orléans e seppellire a Santa Croce per annunciare la sua fissazione: cosa che la Croce che segna i quattro punti Cardinali dell'atmosfera mostra più positivamente. E' dunque una menzogna dell'autore del libro dal titolo Hermippus Redivivus, tendente ad accreditare il suo sistema imbecille, la citazione che ha fatto del preteso viaggio di N. Flamel, e che osa sostenere con la relazione che gliene fu fatta da due sedicenti Adepti suoi amici, e che ne affermano la sua lunga esistenza. Basilio Valentino fa dire ad Adolfo mentre esce da un sotterraneo di Roma, tenendo in mano il piccolo Scrigno di piombo che racchiude la figura parabolica del vecchio Adamo: “Nel mio estremo rapimento, guardai al mezzogiorno dove sono i caldi leoni, e poi mi rivolsi al Nord dove sono gli Orsi.” Saint Didier, autore del Trionfo Ermetico, nella sua Lettera ai discepoli di Ermete, dice che “lo studio di questa scienza è come un cammino nelle sabbie dove bisogna orientarsi con la Stella del Nord.” Questa Stella è sempre stata considerata come la guida certa della nostra filosofia, ed è lei che conduce i pastori alla Mangiatoia dove riposava il Salvatore del mondo. Ci sono delle opere intitolate La Stella o Il Filosofo del Nord, ma l'abuso che ha fatto di questo emblema un numero troppo grande di autori pseudonimi, per darsi rilievo e farsi ricercare, l'ha coperto di tanti sfavori che ha perso molto del suo valore. Sappiate tuttavia che essendo lo spirito astrale il padre adottivo [2] della pietra, bisogna raccoglierne una grande quantità. Questa raccolta non può essere fatta in una sola volta, perciò vi si impiegherà tutto il tempo che durerà il lavoro, che è almeno di tre anni; infatti non bisogna attenersi a ciò che dicono gli autori sui tempi, essendo i loro discorsi intessuti di enigmi od allegorie di cui darò altrove la spiegazione. Torniamo al Soggetto principale della Filosofia. Tutti i saggi si accordano nel dire, ed è una verità incontestabile, che l'opera si fa da una sola cosa alla quale non si aggiunge niente di estraneo, e di cui non c'è niente da togliere se non immondizie e superfluità. Così si esprime Bernardo Trevisano; e la sua affermazione, che ha attinto dai filosofi che lo hanno preceduto, è stata sostenuta e ripetuta da tutti quelli che lo hanno seguito. Molte persone, interpretando male questa unità della pietra, mettono dentro un vaso, che chiamano uovo filosofico, una sola materia di loro scelta, che tengono su un fuoco di lampada o tal altro che essi immaginino, e attendono così vanamente la sua dissoluzione. Degli altri fanno delle amalgame, e non sono meglio consigliati. Non fanno alcun progresso per molte ragioni di cui ecco le principali: 1. Lavorano su materia morta; e quando anche fosse il vero soggetto della filosofia, il vaso e il fuoco non gli sono proporzionati. 2. Ignorano che dall'inizio alla fine del lavoro, la nostra materia è doppia, voglio dire che essa ha un agente ed un paziente senza i quali non ci sarebbe alcuna azione nel vaso, che l'agente fa ufficio di maschio, e il paziente quello di femmina, e che tutti e due insieme, benché separati dalla loro Natura, non costituiscono che un solo corpo che è chiamato a questo proposito Rebis o due cose in una. 3. Infine, il loro lavoro è assolutamente in senso inverso a quello della Natura: perché essi non sanno né dissolvere, né putrefare, né distillare, né sublimare, né alcuna delle nostre operazioni. Nonostante ciò non smettono di intraprendere, dicendo a se stessi: quest'opera è quella della Natura, a cui non abbiamo bisogno d'altro che di prestare la mano, sta a lei conseguirla. Camminando così ciecamente, e con tanta confidenza, non possono evitare di andare a sbattere ad ogni passo che fanno dentro un dedalo così oscuro. Nel Vangelo leggiamo che non spuntano Gigli sui Rovi, né fichi sulle viti; tale è la semenza, tale sarà il frutto; ma che un cattivo albero non può produrre dei buoni frutti, e che, per questo motivo, deve essere tagliato e gettato al fuoco, ma queste ragioni non li toccano affatto, ed essi non ne sono meno persuasi di riuscire. Eppure vedendo la brutta fine del loro lavoro, dovrebbero ammendarsi e riconoscere la loro colpa; ma ben lontani da ciò, essi la attribuiscono a qualche accidente che non hanno potuto prevedere, e si rimettono con ancora più coraggio alla loro stolta opera. Ma lasciamo questi ignoranti gonfiarsi a piacere di vani fumi e occupiamoci piuttosto della scelta di una materia adatta e della sua preparazione. Non si tratta soltanto di passare in rivista tutte le sostanze dei tre Regni ma soprattutto di esaminare la loro composizione, per sapere di che cosa esse sono state formate. A prima vista questa difficoltà parrebbe insormontabile. Essa è grande, in verità, ma non tanto quanto si potrebbe immaginarselo; in quanto: 1. Noi non abbiamo bisogno per questo lavoro né di Alambicco, né di Cornute, ancor meno di Sali, di Spiriti ardenti, acidi o Corrosivi ecc. 2. Noi sappiamo per giunta che tutte le cose di questo mondo hanno una stessa origine, e che esse non differiscono tra di loro che per la mescolanza degli Elementi, ma tali come li ho rappresentati più sopra. Non ci resta più, in terzo luogo, che ricercare esattamente il punto della loro formazione. Considerate che in primo luogo sono esistiti il Cielo e la Terra; che il Cielo, servendo da agente o da maschio, e la Terra, da paziente o da femmina, hanno dato nascita a tutte le cose. Eppure non erano distinti l'uno dall'altro, e non formavano dapprima che una massa tenebrosa e abominevole; ma essendone stata separata la luce, e essendo stati stabiliti i cieli, la massa si riscosse e diede segno di vita. Gli Elementi furono formati, l'Universo e tutto ciò che racchiude apparve in seguito; e questo ordine così ammirevole delle cose sussiste sin da quell'epoca, e rimarrà cosi fino a che piacerà al Sovrano Mediatore di cambiarlo. La vita, comunque la si voglia considerare, non è che un combattimento di due sostanze, o uno scambio continuo di luce e di tenebre, una di queste sostanze prende alternativamente il posto dell'altra, e fa ora funzione di maschio, ora di femmina; in maniera che quando piace al divino autore, tutto si cambia in una pura luce o tutto ritorna nelle tenebre cimmeriche, ciò dimostra che la luce e le tenebre non sono che una stessa cosa, cambiata di forma e di valore dallo svilupparsi o il contrarsi della sostanza, che da là proviene una mutua attrazione da cui deriva, con il movimento, l'inversione elementare della sostanza. Qui habet aures audiendi, audiat. Considerate adesso che nella stessa maniera e dalla stessa materia da cui è stato creato il mondo, l'opera dei saggi è data alla luce, e che è per questa ragione che ha ricevuto il nome di piccolo mondo o Microcosmo. Così, vi ho detto in poche parole tutto quello che dovete fare per questa grande impresa. Prendete dunque la terra prima che non è che una pura luce circondata di tenebre, e riducetela nei suoi principi con la pietra strappata senza mani dalla cima della montagna, al fine di riconoscere in essa tre sostanze distinte che sono il sale, lo zolfo e il mercurio, le quali, essendo congiunte con destrezza con i due di cui la materia è formata, ovvero il Cielo e la Terra, formano una Quintessenza mirabile le cui virtù sono infinite e incomprensibili. Questa pietra meravigliosa apparve in sogno a Nabucodonosor Re di Babilonia, e giunse a sbriciolare e ridurre in polvere una grande statua che vedeva in piedi davanti a lui, e la cui testa era d'oro purissimo, il petto, le spalle e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di rame, le gambe di ferro e l'argilla vi era stata amalgamata con della semenza umana, ma essa non era loro affatto aderente, non più di quanto il ferro possa essere mischiato con l'argilla. Nabucodonosor, giustamente spaventato da questa visione, convocò tutti i magi del suo Reame, ed esigette da essi, sotto pena di morte, che divinassero il suo sogno e ne dessero una giusta interpretazione; nessuno di loro poté venirne a capo. Non vi fu in tutto il Reame che un giovane chiamato Daniele e riempito dello spirito di Dio, che poté soddisfare la sua richiesta (Daniele 2,18). Questo sogno può essere applicato interamente all'Opera dei saggi, e servirle da figura Parabolica. Si vedrà, per esempio, nei Magi di Babilonia, la turba di falsi sapienti che si sforzano invano di intendere la scienza, volendo nondimeno persuadere che la posseggono, e conducendo per sentieri perduti coloro che si affidano a loro in troppa buona fede; in Daniele un figlio della saggezza, a cui tutti i segreti della Natura sono noti e che può fornire una sana e vera spiegazione. La statua sarà il nostro Albero Metallico dalla sua cima fino alla sua radice, nella quale sono ancora confusi Saturno, Giove e Mercurio come metalli di prima origine. Il ferro e l'argilla mischiati con della semenza umana rappresenteranno l'Opera di Natura raffigurata da mano d'uomo, e la pietra tagliata senza mani dall'alto della montagna, che viene a sbriciolare i piedi della statua e a ridurla in polvere impalpabile, sarà intesa o per il fulmine che lancia Giove, o per la falce di Saturno, che voi dovete scambiare destramente con il tridente di Nettuno, per mezzo di una certa chiave che vi fornirò, fino a che Plutone, mostrandosi geloso, e soffiando dal fondo delle sue caverne, mostra a sua volta la sua potenza, disseccando le acque, e riducendo l'albero in cenere o polvere che voi seminerete e da cui verranno molte pietre preziose. Gli Antichi, gelosi del loro segreto, hanno parlato della materia sotto i suoi diversi aspetti, al fine di ingannare la credulità delle genti avare e degli ambiziosi che non sognano che potenza e devastazione. Essi hanno confuso con il soggetto della filosofia la loro prima materia che non si ottiene che dopo molto tempo e lunghi lavori. Non essendo affatto partecipe della loro invidia, ho voluto farvi toccare col dito questo soggetto tanto ricercato e l'ho messo espresso tutto nudo davanti ai vostri occhi, per dispensarvi dal cercarlo più a lungo. Spero che mi siate grati della mia franchezza, e che ne traiate il partito più vantaggioso, prevenendovi tuttavia di aggiungere alle mie parole un piccolo grano di sale, per rendervele più sensibili. Ferrara dipinge questo soggetto come una pietra che non è pietra, che è dura e molle, e che non è di alcun valore; ma se voi volete credermi vi attaccherete innanzitutto a ciò che ne ha detto il conte di Treviso, perché si è mostrato meno invidioso di chiunque, avendo ritratto questo soggetto molto a lungo nella sua Arca Aperta, [3] e avendo fatto una descrizione molto estesa delle materie che non sono adatte per la nostra opera in un altro libro. Vi darò poi il consiglio dell'illustre commentatore della Luce che esce dalle tenebre, M. Bruno de Lansac: “Scegliete, dice, una materia che abbia il brillante metallico”, [4] e vi aggiungerei che non sia affatto metallo né minerale, altrimenti essa non servirà a niente. Voi saprete inoltre che questo brillante non è che il sigillo della materia e ciò che la rivela agli occhi del saggio, e vi guarderete dal prendere il frutto in luogo della radice; perché questi non soltanto non è maturo, ma, in una ipotesi opposta, non vi darà altro che un selvatico da cui non trarrete alcun partito. La dissoluzione è la prima cosa che dovete intraprendere, poiché bisogna slegare i corpi per mettere i nemici alle prese. Ora il fuoco e l'acqua vi saranno qui grandemente necessari, tanto più che questi elementi sono già nemici di loro Natura e non chiedono che di provare le loro forze. Lo spirito, di cui vi ho parlato sopra, è un fuoco vinto dall'acqua di cui voi vi servirete a questo scopo. Voi ne riempirete il Vaso di Natura e lo distillerete a fuoco molto lento per deflegmarlo. Troverete nel fondo qualche cosa di fisso che vi guarderete dall'eliminare. Verserete sopra del nuovo spirito nella stessa proporzione, e continuerete così la distillazione, finché il vaso non possa più contenerne, e che tutto rimanga fisso al fondo. Continuando il fuoco allo stesso grado, percepirete ben presto nel vostro vaso qualche agitazione causata da un piccolo vento di Sud-Ovest, la quale sarà seguita da una pioggia molto gradevole alla vista. Mentre il vento e la pioggia andranno sempre crescendo, voi non vedrete più nel vaso che come un mare che sarà sempre più agitato fino a che infine, pacificati gli elementi, tutto rientra nell'ordine della Natura. Ma il giorno lascia il posto alla Notte, l'oscurità si ingrandisce e il vaso è di un nero perfetto. Questa Notte è la cinquantesima, essa è apparsa tripla ai marinai a causa della fatica che hanno subìto. [5] Il giorno comincia a spuntare, l'orizzonte è chiaro e senza nube; la giornata sarà magnifica. Questa maniera di esprimersi è comune a quasi tutti gli autori antichi, è non è raro trovare dei lettori che prendono questi discorsi alla lettera. Il vento e la pioggia sono per loro delle realtà, e la loro credulità si estende per essi ai più piccoli dettagli dell'allegoria. Questa, che sto per rimettere nel senso corretto, li faciliterà nell'intelligenza delle altre. Il vaso di Natura è la terra preparata che bisogna abbeverare del suo spirito. Essa è detta un vaso, e tale lo è in effetti, poiché contiene. Lo spirito che le si aggiunge non è affatto una cosa estranea in quanto tutto è uscito da lui, e la nostra terra ne è formata; è per questo che è detto di far rientrare il bambino nel ventre di sua madre: cosa che non si può fare senza lacerarle le viscere. Bisogna anche che la nostra terra sia divisa nelle sue parti più piccole per dare alla luce le sue grandi ricchezze, e succederà così, se voi l'abbevererete sovente del suo spirito e la lascerete altrettante volte disseccare. In questa operazione il flegma si evapora, ma lo spirito rimane e si incorpora con la terra che esso salifica fino a che la saturazione sia completa; allora lo spirito che si aggiunge, non potendo più essere contenuto, reagisce su quello che la terra ha fissato e lo obbliga a dissolversi, così come farebbe il sale; ecco perché questa dissoluzione è comparata a un mare; e poiché lo spirito che si aggiunge è unito a una umidità alterante e corrompente, risulta dalla sua mescolanza un movimento di fermentazione che è seguito da putrefazione, e conseguentemente da rigenerazione, in quanto la fermentazione cambia i corpi di Natura, e nella putrefazione non fanno che cambiare i loro vestimenti con altri nuovi, e tanto più ricchi e brillanti, quanto più lo Spirito motore è di un'origine elevata. Ciò che la materia può contenere di umidità, senza versarla al di fuori: ecco la misura da osservare per le imbibizioni, e quel che noi chiamiamo il peso di Natura. La materia, servendo da vaso, serve ugualmente da fornello, poiché lo spirito che vi introducete è un fuoco naturale che la cuoce e la digerisce, per servirmi fino in fondo delle espressioni filosofiche. Servono non meno di cinquanta abluzioni; infatti ogni abluzione fino alla perfetta essiccazione, è contata come un giorno naturale o filosofico; in maniera che i nostri giorni possono durare una settimana a seconda della stagione, la qualità e la quantità della materia sottoposta al lavoro. Il grande segreto dei Saggi per abbreviare i tempi, è di dividere la materia, affinché i giorni abbiano meno lunghezza. Benché noi non ci serviamo affatto del fuoco volgare per le nostre operazioni, è nondimeno certo che abbiamo bisogno di una temperatura abbastanza elevata perché l'evaporazione possa avvenire e la materia non languisca, e non si perda. E' conseguentemente utile e indispensabile, durante l'inverno, e nel luogo di lavoro, fare un po' di fuoco, ma non tanto che la materia ne sia scaldata, cosa che sarebbe peggio che non averne affatto; in quanto lo spirito verrebbe scacciato e non potrebbe essere rimpiazzato. Bisogna che la temperatura non superi i quindici gradi di Réamur. [6] Allorché si è così operato e la materia si dissolve, essa si annerisce proporzionalmente. Non le si aggiunga in questi diversi tempi che lo spirito necessario per trattenere il suo fuoco fermentativo; e quando la materia comincia a fermentare, bisogna abbandonarla al suo proprio fuoco, fino alla bianchezza perfetta ove essa giunge da sola. La materia non è liquida come un Brodo, ma spessa e nera come la pece o il lucido da scarpe; essa si gonfia, si eleva nella Ciotola, produce delle Bolle che sono paragonate agli occhi dei pesci, e che non bisogna bucare, in quanto contengono lo spirito animatore. Dopo la fermentazione, la materia si affloscia; a questo punto è lucente come la pece, e del più bel nero; è il segno della putrefazione che è chiamato testa di corvo. In seguito si dissecca poco a poco e passa al color grigio cenere. Presto un cerchio Capillare del più splendente biancore apparirà sulla circonferenza del vaso. Questo Cerchio si allargherà sempre di più fino a che tutto sarà di un biancore perfetto. Prima che arrivi questo biancore, appariranno alcuni colori sulla materia, tra i quali domina il verde, ma essi non sono molto pronunciati, e non sono che passeggeri e di poca durata. Li si compara nondimeno all'Iride o arcobaleno. E' solo nelle operazioni susseguenti che essi hanno un carattere molto pronunciato. Avete passato in rivista, senza accorgervene, le nostre differenti specie di fuoco; la prima, fino alla fermentazione, è chiamata Bagnomaria, o di mare, perché non opera, in qualche modo, che una dissoluzione salina. La seconda è chiamata calore di letame, e ne sapete adesso la ragione. La terza è chiamata fuoco di ceneri; e la quarta infine fuoco di Riverbero. Abbiamo ancora altre specie di fuoco, ma chi conosce le prime, conosce indubitabilmente tutte le altre. D'altronde noi le segnaleremo al punto opportuno. Noterete qui che questo lavoro assomiglia a quello dei giardinieri che irrigano i loro giardini. Cosa succede in questa circostanza? La terra vegetale che, come vi ho già fatto osservare dall'inizio, non è formata che dei frantumi dei corpi, si altera e si decompone per secchezza e umidità successive, e fornisce un sale e uno spirito di cui la pianta si nutre per messo dell'acqua che assorbe e che è il conduttore. Torniamo alla materia imbianchita, che è ancora lontana dal fine al cui dovete condurla. Nondimeno, la principale serratura è aperta, e non resta che penetrare nel santuario, ma sempre con precauzione per non sbagliare mai, ed essere obbligati ad arrestarsi in un così bel cammino. Questa polvere bianca o materia rigenerata è il Mercurio ancora bambino, a cui bisogna dare ali d'aquila alla testa e ai talloni, cioè dai piedi fino alla testa, perché possa volare, e elevarsi alla più alta regione che è il Cielo. Bisogna sublimarlo tante volte che, nella sua dissoluzione nello spirito astrale, lascerà dietro di sé una terra che si precipiterà e che dovrete raccogliere con molta cura. Filalete chiama queste sublimazioni delle aquile; in quanto che il mercurio acquisisce ogni volta una grande sottigliezza, e compara la terra che il Mercurio getta indietro, alla coda che il mercurio volgare lascia dietro di sé, fintanto che non sia stato abbastanza purificato. “Lavate, dice, il vostro mercurio, e purificatelo con sale e aceto, fino a che non lasci più alcuna coda dietro di lui, colando su una superficie piana.” Scopriremo presto ciò che egli intende per sale e aceto, e ne abbiamo già un'idea. Quando si dissolve il Mercurio nello spirito astrale, e se ne è separata la terra per decantazione e lavaggio, per non perderne niente, si pone la dissoluzione in un luogo fresco, e si crea un deposito di tre sali, ovvero, uno cotonoso, che galleggia sulla superficie e che è il mercurio, il secondo che è aghiforme e di natura del Nitro, e che è tra due acque; e il terzo che è un sale fisso e minerale che si deposita sul fondo. Nello stato in cui si vede qui il Mercurio, esso estrarrà la tintura dei vegetali, e ne farà una medicina. Esso stesso è una medicina, perché qualora se ne mettesse il valore di un grano ai piedi di un albero quasi morto e lo si innaffiasse, riprenderebbe un nuovo vigore. Ma sarebbe mangiare il proprio grano in erba arrestarsi là; bisogna proseguire il lavoro. Quanto ai due altri sali, essi si riducono in mercurio simile al primo, continuando l'operazione. A questo scopo, quando i sali sono stati separati, si dissolve la seconda specie nello spirito astrale per irrigarne il sale fisso, dissolverlo, farlo fermentare e putrefare: e siccome non sarà in così grande abbondanza per terminare l'operazione, si completano le imbibizioni con il Mercurio dissolto e si procede come la prima volta, tramite i pesi di natura. Il peso, se vi si fa attenzione, differisce qui dal primo, in quanto la terra non aveva bisogno che di essere abbeverata; ma qui bisogna che il sale sia dissolto e fissato fino a che non possa più ricevere umidità, che fermenti, che marcisca e dia gli stessi risultati di quanto sopra, ovverosia un Mercurio che voi laverete e da cui voi separerete la terra per aggiungerla alla prima. Per sublimare il Mercurio, voi lo separerete in due, ne dissolverete una metà con lo spirito astrale, e farete per suo mezzo delle abluzioni sulla parte fissa, così come vi ho appena insegnato. Continuerete le vostre abluzioni fino alla dissoluzione perfetta, e lascerete poi fermentare e putrefare come precedentemente. Avete qui il mercurio della seconda aquila, se andate così fino alla settima inclusa, questo mercurio sarà molto adatto a dissolvere l'oro, e lo dissolverà senza calore né ebollizione, alla maniera in cui il ghiaccio si fonde nell'acqua calda; lo condurrete fino alla nona inclusa, e gli darete tutta l'esaltazione di cui è suscettibile per poter operare le più grandi cose. Ma, vi avviso che se voleste andare più lontano, dissolverebbe persino la silice per semplice contatto e non trovereste più un vaso in grado di contenerlo. Ad ogni sublimazione o aquila, separerete la terra nera feculenta come la prima volta, e la aggiungerete alla prima per farne l'uso che vi indicherò nel secondo lavoro; poiché il primo è stato tutto impiegato nella confezione del nostro mercurio: ma è quello che esige più tempo. E' anche il più difficile, ed è per questo che è paragonato alle fatiche d'Ercole, di cui ne è quantomeno la giusta applicazione: e quando è terminato, il resto non è considerato che come un'opera di femmine e un gioco da bambino. Non si tratta più d'altro in effetti che di lavare il lattone, o di fare un impasto, cosa che si applica molto bene o alle femmine che si occupano di liscivia, o ai bambini che fanno polpette e pupazzi di argilla o di terra stemperata. Lavare et impastare, in hoc consistet magisterium sapientum. La durata di questa grande e importante operazione è di circa due anni comuni. E quando è terminata, l'apprendistato della nostra massoneria, perché non vi è che questa di vera, questo apprendistato finisce, lascia posto al compagnonaggio le cui prove sono molto meno lunghe e meno rudi. Avete finalmente tra le mani questo Mercurio universale di cui i saggi hanno tanto parlato; per suo mezzo potrete attaccare la Natura fino al cuore, ed estrarre le medicine o tinture dei tre Regni, donando loro una fissità e perfezione che non avrebbero potuto avere altrimenti. Questo Mercurio è veramente la forza di tutte le forze di cui ha parlato il sapiente Ermete Trismegisto, è il dragone igneo che distrugge tutte le cose, lo spirito di vino, o piuttosto l'acqua di vita di Raimondo Lullo, e l'aceto del Cosmopolita. Dissolve e fissa allo stesso tempo, poiché proviene dall'unione di due fuochi in opposizione l'uno con l'altro, benché aventi una stessa origine. Il primo è un fuoco acido e freddo, è quello che dissolve e produce la fermentazione; il secondo è alcalino e caldo, produce la putrefazione e fissa il composto. E' perciò che Basilio Valentino alla fine delle sue Dodici chiavi vi avverte di distinguere bene il freddo dal caldo, nell'applicazione dei vostri fuochi. Tuttavia non è che il calore fermentativo provenga dall'alcali piuttosto che dall'acido, poiché esso non è che un semplice effetto del movimento, come voi avrete dovuto notare all'inizio di questo trattato; ma perché la presenza di questo alcali lo determina e lo conserva durante la putrefazione. Non essendo il Mercurio che una mezza generazione, bisogna procedere adesso all'esaltazione dello Zolfo. Così come lo hanno fatto Flamel e il Trevisano, potete prendere dell'oro in foglie ed estrarne la tintura proiettandola nel vostro Mercurio che avrete dissolto precedentemente. Questa via non è la più nobile, ma è la più corta. Ciò che si ottiene non è che una tintura particolare, ma il mercurio la universalizza nel lavoro e la conduce allo stesso risultato. Senza dubbio è ben più nobile estrarre dalla materia questa tintura universale. Prenderete quindi tutte le vostre terre provenienti dalle aquile, e procederete con esse attraverso nuove imbibizioni con lo spirito astrale, fino a che arrossiscano e che siano di un rosso bruno. E' quello che i filosofi chiamano la calcinazione. Il Mercurio dissolto e proiettato sopra farà l'estrazione della Tintura, per mezzo della quale potrete procedere al Matrimonio Filosofico che farà la perfezione dell'opera, e terminerà i lavori, salvo la moltiplicazione che non ne è che una ripetizione abbreviata. Questa Tintura è la corona del Re che dovrete estrarre dalle ceneri, perché il saggio Pitagora e dopo di lui molti hanno ripetuto “Non disprezzate le Ceneri perché la corona del Re vi si trova rinchiusa.” E' da là che proviene l'usanza di conservare le ceneri dei morti. Basilio Valentino dice nella sua prefazione “che la corona del Re sia di oro molto puro”; e altrove dice: “E' una corona tratta dalle ceneri.” L'oro è questa Tintura di cui parliamo, e la cenere è la terra delle aquile che avete messo da parte. Bisogna anche che voi sappiate che il Mercurio, che fa l'estrazione di questa Tintura, è chiamato Acqua secca che non bagna le mani, perché, benché non sia che un sale che non bagna affatto, solo lui ha la virtù di dissolvere tutti i corpi, così come fa l'acqua con i sali e le gomme. In apparenza, l'acqua è detta un solvente, ma, di fatto, essa non fa che dividere. La dissoluzione non avviene in tutta la Natura se non per mezzo della fermentazione, mentre il Mercurio ne dispensa nelle stesse occasioni; ma nelle cose più elevate dove la presenza dell'acqua è di nessun effetto, ne assolve le funzioni, e non fa che, come lei, separare i corpi o sostanze per metterli alle strette, e far loro subire la fermentazione, sola causa di dissoluzione. Inoltre la dissoluzione non è essa stessa che una divisione più estesa dei corpi, o una disgiunzione assoluta, e la mescolanza esatta di tutte le loro parti. Capita in questa circostanza che le parti disgiunte e di una natura opposta tra di loro, venendo ad incontrarsi, si urtino e si abbandonino a una specie di combattimento al quale abbiamo dato il nome di fermentazione, dopo il quale esse si uniscono di nuovo, ma dopo essersi purgate di ciò che loro era estraneo, che causa la corruzione, e impedisce che l'unione sia perfetta; ma dopo la sua intera separazione, l'unione è così intima che tutti gli sforzi della Natura per separarle sarebbero nulli e insufficienti. Così saranno i corpi e le anime dei giusti dopo il giudizio e la loro purificazione. Dopo l'estrazione della Tintura, ne resta dietro una terra refrattaria che noi chiamiamo terra dannata, perché, come il peccato, essa è causa di morte e sofferenze. Bisogna rigettarla con cura, poiché è lei che impedisce l'ingresso della tintura, e che causa qui in basso l'antipatia e l'inimicizia tra gli esseri. L'ebollizione che accompagna ordinariamente la fermentazione è raffigurata nei nostri libri come un combattimento tra due campioni di cui l'uno deve sormontare l'altro e metterlo a morte; ma non bisogna affatto prendere ciò alla lettera. Questa ebollizione non deve essere attribuita che al liberarsi di gas che cercano di mettersi in equilibrio, sia per mistione, sia per estensione. Ugualmente, allorché parliamo di Sigillo Ermetico, non bisogna interpretarlo come chiusura esatta del vaso: chiusura imbecille e che sarebbe più dannosa che utile, visto che impedirebbe la manipolazione così come la separazione e congiunzione delle sostanze nei tempi e nelle proporzioni dovute. Noi chiamiamo così l'unione di più sostanze in una sola, in maniera da non poterle più separare: perché presso di noi, o nel nostro linguaggio, aprire è la stessa cosa di dissolvere, e chiudere, la stessa cosa che fissare. Noi abbiamo sette sigilli corrispondenti ai sette corpi planetari, e chi conosce l'uno, conosce tutti gli altri. Noi ci serviamo anche di molti termini familiari alla chimica volgare; bisogna che si sappia, una volta per tutte, che distillare, coobare, sublimare, calcinare, riverberare, incerare ecc. non sono per noi, dal cominciamento alla fine, che una sola e identica operazione, la quale consiste nel dissolvere e coagulare, che è la stessa cosa che inumidire e disseccare, e che il minimo apprendista sa fare. Adesso che avete la soluzione degli Enigmi principali che oscurano il nostro linguaggio e ne impediscono o almeno ritardano l'intelligenza, sto per spiegarvi che cosa sia il nostro matrimonio filosofico tra Beya e Gabertino. Dovete tenere presente che la Tintura rossa, che è lo Zolfo fisso dei filosofi, e che chiamano ora Leone, ora spirito di vino o aceto molto aspro, e qualche volta orpimento, fa qui la funzione di maschio ed è chiamato Gabertino. Il Mercurio o Tintura bianca, che chiamano Luna, argento, Acqua di vita, [7] aceto, arsenico, magnesia, Terra fogliata ecc. fa qui l'ufficio di femmina ed è chiamata Beya. Bisogna sapere ancora che queste due sostanze, zolfo e Mercurio che il Contadinello chiama i due fiori, non costituiscono insieme che un solo Mercurio, detto ermafrodita, o piuttosto androgino, che significa maschio e femmina; che, nell'operazione che sto per descrivere, essi svolgono alternativamente le loro funzioni; che conseguentemente sono stati dati all'uno ed all'altro gli stessi nomi, ma particolarmente quello di Mercurio, facendo pertanto una piccola differenza essenziale da conoscere: essi [gli autori] mettono davanti al nome di Mercurio la parola primo, per esprimere la tintura bianca. Chiamano questa Leone Verde, e lo Zolfo Leone Rosso. Se chiamano il Mercurio acqua di vita, aceto, arsenico, magnesia, Luna, argento, chiamano, per un giusto paragone e proporzione, la Tintura rossa, Spirito di vino, aceto molto acre, orpimento, realgar, oro vivo, Sole ecc. Come ultima osservazione, vi farò notare che il mercurio non è che un sale invertito in questa sostanza mercuriale; che lo Zolfo stesso non è mai senza Sale, non più che il Sale senza Mercurio, cosa che vi fa vedere fino all'evidenza tre sostanze in una, le quali sostanze noi chiamiamo, per nostra comodità, Sale, Zolfo e Mercurio. Per procedere al matrimonio filosofico, separate in due la vostra Tintura Rossa, e ne lasciate disseccare una parte, mettendo l'altra da parte per il bisogno. Quante persone hanno fallito, per aver ignorato questa precauzione! Hanno creduto che sbiancare il rosso, e arrossare il bianco, non fosse che una sequenza ordinaria e necessaria del cammino della grande Opera, e che tutto ciò avvenisse da solo. Che essi sappiano dunque che il rosso è nutrito di bianco ed il bianco di rosso; che il bianco è preso per il latte con cui si nutre l'infante neonato, o per il Vestito virginale. Quanto al rosso, esso esprime o l'aumentazione del fuoco, o il cambiamento di veste; è preso da qualcuno per il Mantello Reale. Procederete dunque alle imbibizioni su una metà del vostro Zolfo, che avrete lasciato disseccare, con il Mercurio bianco, seguendo i pesi e le misure di cui avete già fatto uso, e continuerete così fino ad una completa saturazione e che la materia rimanga liquida sul fondo del vaso, ovvero melmosa. Se avete ben operato, otterrete in quaranta giorni la dissoluzione del corpo, al seguito della quale verranno la fermentazione e la putrefazione. [8] Nella fermentazione, la materia si gonfia, si eleva e fa un piccolo rumore come quello di un formicaio, e quando la putrefazione vuole arrivare la materia si affloscia ed annerisce. E' solo quando è arrivata alla nerezza perfetta, chiamata testa di Corvo, che essa è in piena putrefazione. E' solo là la prima materia della nostra Opera, materia che non si trova da nessuna parte sulla terra dei viventi, [9] che perciò non si crea, ma che è detta aver volato al disopra delle nostre teste, a causa del fatto che il mercurio, essendo stato sublimato nove volte, lo Zolfo si è ancora elevato al di sopra. I filosofi prendono la dissoluzione per il regno di Mercurio; è durante questo Regno che si alleano tra di loro i nostri principi metallici, ma è qui come un fuori-opera. Qui è solo col Regno di Saturno o durante la nerezza che cominciano a contare, o che prendono il cominciamento dell'opera, perché i tre principi sono legati in una maniera irrevocabile e il Sigillo di Ermete è completato. E' il vaso di Natura che bisogna chiudere e non un uovo di cristallo o di tutt'altra materia; e la chiusura non si intende della gola di un vaso perché l'aria non vi possa penetrare, ma dell'unione intima del sale, dello Zolfo e del Mercurio, in maniera che non si possa più separarli per qualunque artificio. Non c'è bisogno di alcun fuoco esterno per arrivare alla bianchezza, la materia disseccandosi vi arriva da sola. Prima, prende il colore grigio cenere che si paragona allo Stagno, e che si chiama il sigillo di Giove; in seguito arriva per gradi alla bianchezza, ma prima di arrivarci si percepiscono circolarmente sulla materia diversi colori, rossi, gialli, blu e verdi che assomigliano all'Iride o arcobaleno, e che altri chiamano la coda di Pavone. Questi colori, che non durano tanto, sono rimpiazzati da una pellicola di un bruno nerastro che si stria per disseccazione e lascia vedere la materia al di sotto di un colore grigio: subito dopo, si manifesta sui bordi del vaso un cerchio capillare di un grande biancore; allora il regno di Giove, che annunciava il color grigio, e che i filosofi paragonano al fuoco di ceneri, finisce, per lasciare il posto a quello della Luna. Questo Cerchio si ingrandisce successivamente fino alla bianchezza perfetta della materia che i filosofi chiamano con ragione Luna o Argento, poiché un peso di questa medicina bianca proiettato su 10 di argento, e in seguito su 100 di un altro metallo imperfetto, trasmuta quest'ultimo in argento più puro di quello delle miniere. L'argento che si impiega in questa circostanza, tiene qui il luogo di fermento, e senza di lui non ci sarebbe trasmutazione, è in questo senso che bisogna intendere quello che dicono i Saggi: che senza oro nessun oro è producibile, essi intendono parlare del fermento. Questa terra imbiancata ha l'aspetto di una polvere brillante di diamante ed è divisa in piccole lamelle: ciò è il motivo per cui i saggi l'hanno chiamata la loro terra fogliata nella quale raccomandano di seminare il loro ORO; essa non è, come si vede, che una mezza generazione, perciò bisogna continuare il lavoro se si vuole giungere alla perfezione. Bisogna dare a questa terra la coltura necessaria prima di seminarvi l'oro, altrimenti non fruttificherà affatto. Si ricominciano dunque le imbibizioni con il mercurio bianco, secondo la misura osservata anteriormente. Con l'aiuto di un fuoco ben sorvegliato, la materia si sottilizza sempre di più, si ricopre di verde, dopodichè comincia a ingiallire e prende un colore arancione che non potrebbe più superare se il fuoco non fosse aumentato. Questo verde tanto decantato dai poeti, e tanto raccomandato da tutti i filosofi è il regno della bella Venere, al quale succede quello di Marte che è il colore arancione. Vi ricorderete di aver fatto due parti della vostra tintura Rossa: avete appena sbiancato la prima, bisogna adesso arrossarla. Prendete dunque la Tintura messa da parte, dissolvetela proiettandola su del mercurio filosofico e procedete con questa Tintura alle imbibizioni, fino a che la materia giunga ad un bel rosso porpora e scuro di papavero. Tale è la medicina del primo ordine, tanto al Bianco che al Rosso, la quale guarisce tutte le malattie se la si usa senza aggiunta di metallo, in un veicolo appropriato al male, secondo la prudenza richiesta, e che con l'aggiunta, come fermento, dei due metalli perfetti, trasmuta in oro o in argento tutti i metalli imperfetti, come il rame, il piombo, lo stagno, ecc. Prima di tentare una proiezione, bisogna saggiare la materia su una lama di rame arrossata al fuoco. Se fonde senza fumo è nello stato desiderato, altrimenti bisognerà continuare il fuoco.
Moltiplicazione La Moltiplicazione non è altro che la ripetizione di tutta l'Opera, a partire dal matrimonio filosofico. Bisogna solo avere la cura di dividere in due la propria materia nel Cerchio della bianchezza e in quello della rossezza, al fine di poter procedere alle imbibizioni sulla metà restante con dei genitori dello stesso sangue. Il Mercurio, così come la tintura Rossa, nel loro primo stato, sarebbero troppo imperfetti per potersi alleare alla nostra medicina. Avrete cura, ad ogni dissoluzione tramite il Mercurio, di separare una terra dannata che si precipita e che voi rigetterete con tanto meno scrupolo, in quanto è assolutamente refrattaria, e impedisce l'ingresso della materia nei metalli. [10] Con tutte le condizioni che ho descritto qui sopra, senza niente ometterne, arriverete sicuramente allo scopo tanto desiderato della Filosofia. Tuttavia, non cercate di superare il numero sacro di nove, poiché la materia, per quanto fissa possa essere, avrà acquisito una così grande fluidità e dilatazione, che sarebbe interamente perduta, nessun vaso potendo contenerla. Su ciò, fratello mio, ringraziate Dio della grazia che vi ha fatto, così come io lo ringrazio di esservi stato utile nei vostri disegni, qualora essi siano retti, e voi dimoriate nei sentieri del bene.
FINE
|
[1] Lux obnubilata (N.d.T.).
[2] Fr. nourricier: significa tanto adottivo quanto nutritivo, che nutre (N.d.T.).
[3] Bernard Husson segnala che l'autore ha fatto confusione e ristabilisce la citazione esatta della Lux Obnubilata, in cui si parla dell'Arca Aperta. Ecco questa citazione: "Il conte Bernardo, proibendo di prendere per l'opera filosofica gli animali, i vegetali e i minerali, aggiunge: e i metalli solamente - come se volesse dire i metalli che sono rimasti soli e senza agente, come spiega l'autore del libro intitolato Arca Aperta, avendo fatto una descrizione molto estesa delle materie che non sono adatte alla nostra opera in un altro libro" (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 106).
[4] Bernard Husson ristabilisce nuovamente la citazione esatta di Bruno de Lansac: "Bisogna fare attenzione soprattutto che l'essenza metallica vi sia non solamente in potenza ma anche in atto, e che vi sia uno splendore metallico" (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 107).
[5] Il fr. essuyer letteralmente vuole dire asciugare (N.d.T.).
[6] 15° Réamur equivalgono circa a 18° C (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 110).
[7] O acquavite (N.d.T.).
[8] Questo passo va confrontato con lo Scolio 86, che tratta lo stesso punto (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 121).
[9] Bernard Husson trova l'origine scritturale di questa espressione in Giobbe 28, 12-13 (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 121).
[10] Questo passo va confrontato con lo Scolio 144, che tratta lo stesso punto (Nota di G. Pasquier, op. cit., p. 125).